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Vittorio Fava nella Biblioteca Casanatense

di Mirella Bentivoglio

La recente mostra di Vittorio Fava nel grandioso spazio della Biblioteca Casanatense è stata per lui veramente un punto d'arrivo. Scanditi nelle quarantacinque vaste bacheche che percorrono a ferro di cavallo l'immensa sala, i libri-oggetto di questo artista, così diversi dalle migliaia di codici ordinatamente allineati per tutta l'altezza delle pareti, hanno costituito un intrigante confronto. A loro volta, le enormi sfere dei due settecenteschi mappamondi che, all'ingresso della sala, accolgono i visitatori, cosparse come sono di immagini slegate, hanno in un certo senso fornito la chiave di lettura della mostra, esaltante l'incongruo. Nulla di più lontano del lavoro di questo artista, dalla classicità, dalla compattezza, dalla logica delle gerarchie. Come se il mondo fosse stato sminuzzato, masticato da un animale preistorico che se la ride della conoscenza. Il regno minerale, quello vegetale, quello animale, si mescolano ogni volta nello stesso oggetto, che è sempre un libro, proprio il simbolo e la sede del logos. E nel libro è contestata da Fava anche la misura. La pagina nasconde altre piccolissime pagine, con segrete scritture, minuscole come impronte di formiche. La copertina può essere un collage di rottami di ceramiche antiche, o di pizzi di provenienze diverse, o di sottili fette di quarzo o strisce di pelle di coccodrillo o addirittura un lichene o un grande intero fungo disseccato, ruvido al tocco come pelle di camoscio. Il tatto è il senso più spesso chiamato in causa. Ma c'è anche la scrittura, con itinerari ondulanti, e con richiami poetici. Dicono del "libro scritto con l'acqua" o con la sabbia o con il camminamento del tarlo. Ma la naturalità formulata dalla parola è in realtà esclusa dalla convivenza caotica delle materie. Ci sentiamo come all'interno di una Wunderkammer, nel regno dell'artificiale, pur con tanti reperti del mondo primario; proprio per il principio enciclopedico, che livella ogni esperienza, quella culturale, del reperto antropologico e del brano di pagina corrosa, e quella esistenziale delle cose di ogni giorno raccattate tra i gas dei rifiuti. E allora ci si rende conto che questo artista, continuamente intento a usare, citare, manomettere l'antico, è in realtà modernissimo. Perche il suo principio è quello della destrutturazione, che in questo inizio di millennio predomina; nelle espressioni artistiche, nella moda, e perfino nel modo di impaginare le riviste e le telecomunicazioni. La frantumazione, il rimescolamento, la perdita di un centro. Con una caparba e captante destrezza manuale; incisoria, scrittori a, collagistica. Con l'esuberanza ansiosa, interrogativa e vitale di chi chiude un ciclo senza tentare alcun bilancio.

Pubblicato sulla rivista Terzo Occhio in occasione della mostra personale "La Biblioteca di Faba", tenutasi alla Biblioteca Casanatense, Roma 2005.

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Testi critici

Mirella Bentivoglio
> Enrico Crispolti
> Giorgio Di Genova
> Valeria Salvatores
> Stefania Severi