“Roma”, un libro-oggetto di Vittorio Fava
di Stefania Severi
Inutile cercare tra gli autori della vastissima bibliografia su Roma il nome di Vittorio Fava. Il suo libro “Roma” non potrà mai essere posto in uno scaffale di biblioteca perché è progettato per stare sopra un tavolo. Intendiamoci, è un libro a tutti gli effetti, che si sfoglia pagina per pagina, ma che ha uno “spessore” tale da consigliarne una collocazione orizzontale. E lo spessore del libro è sia in termini fisici che concettuali. La copertina è costituita da frammenti di marmo statuario, pietre, volute barocche in legno dorato, mosaico, una croce in metallo, conchiglie, antiche pagine bruciacchiate. È Roma, pagana e cristiana, che ci si propone per frammenti. Il libro è un vero e proprio album di vedute, e precisamente quelle incise da Piranesi, che costituiscono il motivo conduttore dell’opera: la pianta della città, Campo Vaccino, il porto di Ostia, il Tevere, Piazza Navona, Piazza di Spagna, Piazza San Pietro... Ma il ritmo delle vedute si interrompe per lasciare il posto a pagine-bacheche che, nei piccoli alveoli, racchiudono il passato dell’urbs fatalis: cartigli, libretti, monete, piume, scritte in latino ed in arabo, incisioni e disegni, angeli e demoni, sigilli e timbri, figurine e conchiglie, frammenti d’oro antichi e pelli africane, alabastro e terracotta. Ècome voler mettere sotto chiave l’arte e la poesia, il dolore e la gioia, il vero e il falso così che la vita fluisca nella storia e questa rifluisca nel libro. Ogni pagina è un tema, come la pagina biblioteca Tabularium e come la pagina dedicata agli obelischi. Questa contiene, entro una sorta di recinto tridimensionale, due obelischi, realizzati in scala con il cartone, che giacciono inseriti in asole di tessuto, un vecchio lino ricamato con le cifre; e gli obelischi possono essere tolti dalle loro asole e posti verticalmente. Non è una soluzione pop up, cioè ottenuta con l’automatismo dell’apertura delle pagine, ma implica il gesto volitivo del lettore che può decidere o meno di far emergere l’aspetto fallico della città, a dispetto quasi della suo languore femmineo sotteso al lino ricamato. E poi ci sono pagine di merletto che ci conducono nelle atmosfere virginali degli antichi conventi, decorazioni a grottesche che legano l’arte dell’antichità a quella di oggi attraversando il Cinquecento, reti che ci rimandano ai tempi in cui il Tevere era pescoso. Un po’ ovunque sono le carte scritte. Tante carte scritte rigorosamente a mano con grafia antica. Antiche, rifatte? Lasciamo il dubbio. E tutte le carte sono erose e bruciate nei lembi, perché su di esse sono passate l’ira del tempo e l’ira dei lanzichenecchi. Alcuni sono testi indecifrabili, altri sono testi autografi alla maniera di Petrolini, Trilussa e Belli.
Questa opera libro è stata esposta a Roma (20 maggio – 6 giugno 2003) in un luogo fatto apposta per lei, o meglio, è forse l’opera fatta a posta per il luogo: il Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria a Santo Spirito in Sassia. Quindici le opere libro in mostra, tra le quali, per rimanere in ambito laziale, due libri-erbari dedicati alla flora della Sabina ed a quella di Poggio Nativo, la località dove il romano Fava ha deciso di vivere. E poi, oltre ai libri, ci sono il Mobile Alchemico di Gutemberg, la Porta Alchemica ed altre “curiosità”, a comporre una incredibile Wunderkammer (che è il titolo della mostra). Il tutto realizzato con oggetti trovati, reinterpretati e reinventati. Come acutamente scrive Valeria Salvatores in catalogo: «Materiali poveri ma recuperati e nobilitati attraverso il suo operare “febbrile” in cui riemergono ricerche e procedimenti dell’arte moderna (arte povera, arte concettuale, arte informale, allestimento dadaista) ma, contrariamente alla tendenza odierna dell’arte alla riduzione al “minimale” di negazione cioè della forma composita, qui c’è una moltiplicazione di segni, sensi, materiali e significati». Così tra le curiosità del museo, le curiosità di Fava si inserivano di diritto. Il fantasma di Athanasius Kircher, aggirandosi nottetempo, avrà dovuto fare attenzione a non farsi sorprendere dal giorno, perché certamente avrà passato lunghe ore ad ammirare le mirabilia di questo bis bis bis nipote.
Pubblicato su Lazio ieri e oggi, anno XLI n.1, gennaio 2005, in occasione della mostra tenutasi al Museo Storico dell'Arte Sanitaria di Roma nel 2003.
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